Sara Martinel è una giovane ragazza di 29 anni che vive a Rio de Janeiro da 2 anni. Prima di stabilirsi in Brasile ha lavorato in Italia come maestra in scuole dell'infanzia e scuole primarie. Il viaggio, però, è sempre stato presente nella sua vita, prima con la sua famiglia e poi in solitaria in giro per il mondo. Da quando ha iniziato a viaggiare in solitaria la sua vita è cambiata, trovando pian piano la sua missione di vita...
La tua vita è stata ed è tutt'ora ricca di avventure alla scoperta del mondo. Quando hai iniziato e quali sono stati i tuoi primi viaggi?
Ho iniziato a viaggiare come turista già da quando ero piccola con la mia famiglia. Soprattutto da quando abbiamo preso il camper, con i miei genitori e mio fratello abbiamo girato l’Europa in camper.
I miei primi viaggi li ricordo quindi insieme a loro, oppure ricordo le prime vacanze dopo la maggiore età con le amiche sempre in Europa.
Tra i viaggi con i miei ricordo anche l’Egitto e due crociere a Capo Nord e in Turchia, in una delle quali conobbi Thiago il mio attuale marito.
Ad un certo punto hai iniziato a viaggiare in solitaria, cosa ti ha spinto a fare ciò e dove sei andata?
Soltanto quando ho iniziato a viaggiare da sola, ho sentito di aver iniziato davvero ad esplorare il mondo e me stessa.
Infatti penso che fare una vacanza con amici o famiglia, sia molto diverso da un viaggio in solitaria, specie se è lungo e all’insegna di molte sfide.
Dopo essere stata a Međugorje avevo trovato una forza incredibile, mi sentivo piena di
tanto amore. Volevo donarmi agli altri e dedicare tutta me stessa in cose belle, riempire il mio tempo di cose che gli dessero valore. E stato cosi che ho iniziato a fare volontariato!
Dalla prima esperienza in Friuli, come catechista e come volontaria di primo soccorso nelle ambulanze, sono arrivata fino in Brasile! Il mio primo viaggio in solitaria e ci sono arrivata per vie traverse.
C’era una cosa che mi attirava da un po’ di tempo, fare volontariato in Africa.
Così iniziai ad informarmi e conobbi un’associazione che offriva agli universitari l’opportunità di partire per progetti di qualche mese, per fare volontariato presso ONG.
Feci con loro l’intervista e una volta iscritta mi bocciarono subito l’Africa dicendomi che non sarebbe stato possibile partire per quelle mete, visti i disordini politici e i rischi sanitari.
Allora mi proposero il Brasile: senza indugio accolsi quell’idea.
Premetto che sono sempre stata ignorante in geografia, quindi non avevo idea nello specifico di quanto distante fosse e dove sarei effettivamente andata ma sentivo che avrei potuto andare ovunque perché non sarei stata mai sola.
Avevo ricevuto quel dono della fede, mi sentivo cosi coraggiosa e forte.
Allora sono partita per São Carlos nello Stato di São Paulo. In quell’occasione feci il passaporto, non avevo mai viaggiato cosi lontano e mai da sola.
Sarei partita sola, con un livello di inglese che non raggiungeva nemmeno il B2 all’epoca, sarei stata ospite da una famiglia o persone brasiliane, lavorando ogni giorno presso una ONG.
Il mio compito era quello di creare progetti e attività per bimbi di questa Onlus, collaborando con volontari provenienti come me dai più svariati angoli del Mondo. Ero l’unica italiana.
La sensazione quando stavo per atterrare all’aeroporto di São Paulo?
Non la scorderò mai nella mia vita. "America", sussurrai.
Ero arrivata così lontano da sola, e non mi sentivo persa ne spaventata, ma del tutto curiosa. Rimasi sorpresa di come nessuno in un aeroporto cosi importante parlasse inglese.
Non ci si capiva ne in italiano ne in inglese, dovevo riuscire a capire come raggiungere dall’aeroporto la stazione principale dei pullman, attraversando una delle metropoli più grandi al Mondo.
Mi ero già studiata il percorso da fare ma senza indicazioni non sapevo dove andare: mi aspettava poi un viaggio ulteriore in bus per raggiungere la città di São Carlos a qualche ora dalla capitale. Insomma, in qualche modo ce l’ho fatta e invece di essere esausta dopo mille ore tra scali, voli e bus, accolsi anche la proposta delle altre volontarie: partii per Rio de Janeiro immediatamente arrivata, per una gita di qualche giorno.
Mi dissero: “le altre ragazze vanno a Rio stasera perché ci sono dei giorni di ponte, vuoi andare?” Mi sentivo come reduce da una centrifugata di lavatrice ma risposi di si, senza nemmeno conoscerle queste persone.
Insomma, dopo altre 12 ore di bus notturno, arrivai a Rio de Janeiro. Quando mi trovai su una delle più famose spiagge al Mondo, Copacabana, ricordo di aver guardato l’oceano e di aver pensato: WOW. In pochissime ore avevo attraversato il Mondo, quante cose si possono fare in poche ore.
Mi sentivo talmente libera. Ebbi un po’ di timore a girare le strade carioca, quante persone mi avevano messa in guardia ripetutamente, prima di partire per il Brasile. Tuttavia conobbi Sua Maestà il Cristo Redentore, e trovai delle vere amiche, le altre volontarie. Ancora oggi siamo legate, pur essendo loro tutte sud americane, inglesi, cinesi… .
Durante questa esperienza comunicavo solo in inglese con le mie coinquiline brasiliane, con i volontari. Ma le educatrici della ONG, i bimbi e chiunque in città non parlava altro che il portoghese. Iniziai a capire qualche parola (essendo una lingua romanza) ma usando l’inglese anche con alcuni madrelingua, tornata a casa in Italia, ottenni il livello B2 di inglese. Quindi la spinta di fare volontariato per gli altri, per i bimbi, mi ha invece portata ad aprire le porte della Vita, penso che donandoci possiamo invece ricevere più di quanto immaginiamo.
L'esperienza di Volontariato a Calcutta è stata sicuramente una delle più impattanti ed emozionanti, come sei arrivati lì e perché hai scelto di fare quest'esperienza?
L’India è stata per me una vera e propria scuola di vita, un’insegnante diretta e severa che è andata dritta al punto senza indugio. Una volta tornata dal Brasile, mi si era accesa una tale fiammella dentro, che mi iscrissi subito all’opportunità Erasmus con l’università. Prima di partire per l’Erasmus però, conobbi per conoscenze comuni una confraternita di suore della città dove vivevo. Queste suore erano nate in Italia ma mi raccontarono di avere delle sedi anche in India, dove operavano con i bimbi di strada vivendo con loro in convento. Mi interessai subito e mi venne l’idea di chiedere loro se fosse stato possibile chiedere ospitalità in uno dei loro conventi, per poter convivere con suore e bimbe di strada dando il mio contributo. La Madre generale si mise cosi in contatto con Calcutta che accetto la mia proposta: avrei potuto insegnare l’inglese a quelle bimbe che altrimenti parlavano solo la lingua locale, il bengalese, e avrei potuto aiutare nella gestione della casa e delle faccende. Non esisteva quindi progetto ne agenzia, decisi di organizzare voli, visto e quant’altro per partire subito dopo l’Erasmus: ho concluso a giugno e sono partita da fine giugno a fine settembre. Anche questa volta, non scelsi l’India per un motivo specifico, non sapevo nemmeno dove si trovasse precisamente sul globo, non avevo idea di come fosse la loro cultura ne di come fosse vivere in un convento o il grado di povertà di quei luoghi. Io volevo solo donarmi agli altri, volevo mettermi al 100% a disposizione per aiutare qualcuno e per scoprire me stessa attraverso esperienze di totale immersione e sfida. E anche questa volta volendo donare qualcosa, non ho fatto che ricevere.
Com'è stato l'impatto iniziale e quali sono state le difficoltà che hai affrontato in India?
L’impatto iniziale è stato fortissimo. La prima cosa che ricordo è il caldo soffocante, l’umidità era tale (100% umidità) che non riuscivo davvero a respirare, sudavo da ogni poro del mio corpo, di continuo, mi mancava il fiato. Ricordo di aver pensato
“io qua non sopravvivo”. Era la stagione dei monsoni, quindi la peggiore a livello climatico. Inoltre non potevo indossare nulla di corto, ma il più possibile coprente e largo. A livello emotivo invece l’impatto e stato qualcosa di difficile da descrivere. Già vivere in un convento era davvero totalizzante: sveglia alle 5 per la messa, le preghiere, vivere nella povertà insieme a loro, mangiare con le mani come loro, cose semplici che erano ogni giorno le stesse. Ma la cosa che di più ricordo con dolore, era uscire dal convento e incrociare gli occhi dei mendicanti per strada, guardare tanta povertà, famiglie con bambini che dormivano sul marciapiede, quelle stesse strade che si allagavano con le piogge torrenziali e diventavano fiumi di acqua putrida.
Camminando con le suore per strada, molte madri le pregavano di prendere i loro figli a vivere al convento, e dovevo fare lo slalom tra un mucchio di rifiuti e dei senzatetto distesi. Corvi e cani randagi sempre presenti a mangiare i rifiuti. Puzza di putrefazione ovunque.
Mi vergognavo. Non riuscivo ad incrociare i loro occhi quando passavo accanto a queste persone per strada. Ogni sera andavo a dormire e piangevo, piangevo perché mi sentivo in colpa per quanto sono nata fortunata, per quanto la mia vita fosse piena di ricchezze, ma soprattutto di amore. Non era giusta una tale differenza.
Quelle persone non avevano colpe, ma vivono una vita priva quasi di dignità, e senza nessuno che possa accudirli. Oltre a vivere con le suore in questo convento, decisi anche di informarmi sulla Casa di Madre Teresa, per poter fare volontariato anche presso il loro convento e le loro case.
Cosi iniziai anche ad attraversare Calcutta da sola, quotidianamente, prendendo i mezzi pubblici quasi casualmente (era difficilissimo salirci in corsa, capire dove fossero diretti e dove scendere). A Calcutta nessuno per strada parla inglese, parlano tutti bengalese, che si scrive tra l’altro con un alfabeto diverso dal nostro (come fossero simboli). Insomma, operai alla Casa di Madre Teresa andandoci tutte le mattine, rientravo per pranzo al mio convento per occuparmi delle bimbe più grandi con cui vivevo, che rientravano da scuola appunto il pomeriggio. Ho fatto alcuni giorni anche alla casa dei morenti (Kalighat) ma principalmente lavoravo coi bimbi in attesa di adozione o disabili, dai 0 ai 3 anni. Era struggente vedere quelle creature, cosi piccole e bisognose di amore e cure. Ma la cosa che di più mi ha uccisa, che ricorderò sempre, è stata la visita al reparto donne in attesa. Queste donne venivano accolte per poter partorire lontano dalla strada, essendo delle senzatetto. Donne devastate perché costrette a lasciare il loro neonato li subito dopo il parto, non avendo un tetto dove poterlo crescere. I loro occhi mi sono entrati dentro e mai ne usciranno.
Oltre ai momenti difficili ci sono stati sicuramente tanti momenti belli, quali sono quelli che ti ricordi di più e quali insegnamenti ti porti dietro da quest'esperienza?
I momenti belli?
I sorrisi di quei bambini. La loro forza, allegria, energia, gratitudine e affetto. Mi hanno insegnato a vivere nel qui e ora, ad apprezzare ogni piccola cosa.
Vivere con quelle suore mi ha insegnato una forma nuova dell’amore.
Una vita semplice fatta davvero di carità. Durante quei mesi non ho avuto connessione internet, ne televisione, ne lavatrice. Si lavava tutto a mano, ci si intratteneva con le preghiere, i lavori domestici, e i momenti insieme.
Io comunicavo con i miei genitori tramite uno squillo sul cellulare, squillavo la sera come per dire "sono viva", e per mesi non hanno avuto altre mie notizie. Mi sono sentita Viva, piena e forse mai più cosi tanto presente nel mio "qui e ora". È stato davvero difficile tornare ai privilegi della vita occidentale. Ho rifiutato per settimane di utilizzare il cellulare, ero quasi arrabbiata per la superficialità di tutti noi, per le nostre lamentele. E continuo a dire: vorrei che ognuno di noi anche solo per un giorno, camminasse per quelle strade e incrociasse quegli occhi, forse il mondo sarebbe migliore e le persone inizierebbero a capire di più quali sono le priorità. Di insegnamenti ne ho dunque tantissimi, non saprei nemmeno descriverli, ma ho capito che la cosa più preziosa che possiamo fare è donare il nostro tempo e per farlo al meglio bisogna essere presenti con il cuore. Il mondo moderno è una continua distrazione con cose inutili, vuote, che ci fanno perdere di vista la pienezza nei nostri cuori. Meno si ha più si è. Quelle persone non hanno nulla e sanno darti tutto. Io penso di non aver lasciato nulla in confronto a ciò che ognuno di loro ha lasciato a me, anche quelle persone a cui ho tenuto la mano prima che se ne andassero, rimarranno per sempre nel mio cuore, spero che siano andate in Cielo sentendosi meno sole e abbandonate, avendo avuto accanto qualcuno che le guardava negli occhi.
Dopo Calcutta ti sei continuata a muovere, Hong Kong, Nord America, Barcellona, Singapore e Sri Lanka sono solo alcuni dei paesi che hai visitato, quale ti ha colpito di più e perché?
Tra i viaggi che ho fatto come backpacker è difficile dire quale sia stato il più indimenticabile. Sicuramente a livello di esperienza, ricordo il Nord America. Ma questo perché ho deciso di partire da sola, al risparmio totale per girare tutto il Nord America zaino in spalla dormendo in ostelli, aeroporti, bus, mangiando fast food e camminando ore sotto il sole. Questa è stata l’estate successiva all’India. Avevo bisogno di stare sola, di sentirmi libera, di non avere orari ne ritmi scanditi da altri.
Volevo respirare il Mondo e alzarmi la mattina senza meta.
Il luogo che mi ha colpito di più penso sia stato il Grand Canyon in Arizona, la sua immensità è ancora scandita qua nei miei occhi. Però a livello di Paese, devo dire che lo Sri Lanka mi ha molto colpito, in generale penso che l’Asia abbia una sua ricetta magica. Lo Sri Lanka è una terra che mi ha appunto sorpreso e incuriosito, da cui non mi aspettavo nulla e invece mi ha lasciato tanto. Ma penso e ripeto: ogni luogo al mondo ha tanto da darci e ha tante bellezze diverse.
È difficile fare una classifica. Sicuramente l’Europa è meravigliosa ma è "casa", quindi ci lascia un impatto diverso. Invece luoghi tanto diversi dai nostri scaturiscono in noi anche ricordi e stimoli importanti. Ora dopo tanti viaggi, dal 2019, hai deciso di fermarti a Rio e stabilirti li. Come mai hai scelto di fermati in questo paese? C'è stato qualcosa che ti ha colpito particolarmente? Ho conosciuto Rio appunto anni prima, dopo aver visto questa "cidade maravilhosa", "città meravigliosa" in portoghese. Pur continuando a viaggiare il Mondo intero, non ho mai trovato un luogo più magico, che sia una combo cosi come lo è Rio de Janeiro. Rio è una città enorme ma ha delle vibes pazzesche, un sacco di natura tanta da dimenticare di trovarsi in una metropoli. L’oceano, colline, una foresta tropicale incastonata nella città (la foresta tropicale urbana più grande al mondo). Le persone qua vivono con ritmi dettati dall’oceano e dalla perenne estate, tutto è più lento e le persone sono meno complicate. Dopo essermene andata mi sono detta: tornerò sicuramente. Tuttavia ho continuato a viaggiare ed ero distratta da mille stimoli e affascinata dal resto del Mondo. Rio è stata però colei che ha fatto rincontrare e unire me e Thiago, il mio attuale marito. Infatti avevo conosciuto Thiago anni e anni prima, su una nave da crociera in Norvegia, ma poi non ci siamo più sentiti. Ho iniziato a seguirlo sui social notando che viveva a Rio. Da li abbiamo iniziato a parlare e a creare un rapporto platonico divisi dall’Oceano Atlantico. I nostri due caratteri un po’ pazzi ci hanno fatto fare diverse pazzie per poterci vedere, rivedere e frequentare. Io vivevo ancora in Italia e dovevo laurearmi, già lavoravo come insegnante. Decisi di raggiungere Thiago a Rio diverse volte, o in Europa, e lui veniva a trovare me. Abbiamo deciso poi di provare un anno di convivenza a Barcellona, per capire se potevamo essere adatti a fare passi più grandi. Abbiamo deciso di mettere qua le nostre basi non solo per la bellezza di questo contesto, ma soprattutto perché Thiago aveva aperto da qualche anno un suo tour operator incoming in Brasile, lavorando con il turismo europeo diventava molto vantaggioso vivere in Brasile guadagnando in moneta euro, perché il costo della vita locale è molto economico se si possiede uno stipendio europeo. Inoltre qua con il nostro budget e i nostri risparmi, avremmo potuto fare buoni investimenti. Ed e cosi che infatti abbiamo acquistato dei monolocali al prezzo di un utilitaria, che ci permettono ad oggi, affittandoli, di sopravvivere al blocco del turismo e alla mancanza di lavoro. Quindi il motivo principale per cui pensiamo valga la pena stare qua piuttosto che in Europa è sostanzialmente le opportunità e lo stile di vita che riteniamo più allettante qua. In Europa avremmo lavoravo con un posto fisso, orario fisso, ferie fisse. Certo l’Europa ha molta più organizzazione e comfort a livello generale, ma essere imprenditori qua in Brasile fa ottenere più flessibilità e opportunità di crearci da noi la vita che vogliamo.
Quali consigli daresti ad una persona che vorrebbe partire e viaggiare in giro per il mondo ma non ha il coraggio di farlo?
Quando si inizia a viaggiare facendo esperienze vere e proprie, e non viaggi turistici brevi ecco, bisogna sapere che si partirà sempre “senza biglietto di ritorno”. Io penso che quel mio primo viaggio in Brasile sia stato un viaggio senza biglietto di ritorno, come anche gli altri. Questo perché una volta che si inizia ad aprire la propria mente, è difficile tornare alla prospettiva di prima.
Si inizia a spaziare tra culture, abitudini, opportunità diverse. Bisogna essere consapevoli che c’è il rischio di non voler più tornare ai confini di prima. Quindi io penso che questo tipo di "uscita dalla zona di comfort" non sia per tutti. Non è una questione di essere più o meno validi o coraggiosi, è questione di ciò che ci incuriosisce fare e da come ognuno di noi vuole vivere la propria vita.
Io invidio molto i miei amici italiani che sono rimasti nella mia terra d’origine, li invidio perché per alcuni aspetti per loro è più facile, avere tutto il loro mondo accanto, amici famiglia. Io qua in Brasile ho solo Thiago, non abbiamo ne la mia ne la sua famiglia. Uscire dalla zona di comfort può essere difficile prima, per alcuni durante e per altri dopo. Ma per quanto io possa invidiare loro (perché mi mancano gli affetti) d’altro canto io invidio la mia stessa vita, perché penso di aver ottenuto una libertà che non avrei conosciuto lì. La mia vita è una scoperta quotidiana, tutto è nuovo intorno a me, per quanto ci si adatti al nuovo posto, rimarrà sempre una scoperta. Mi piace creare il mio destino non sapendo bene come sarà la mia routine tra 5-15 anni. Mi sentivo già “arrivata” a pensare di fare un lavoro con orari fissi e tempistiche fisse da qui alla pensione. Il consiglio che posso dare a chi vuole partire? Immaginare di essere lontano da casa, o di trovarsi in un posto nuovo, a volte ci fa ingigantire un qualcosa che invece è di una spontaneità pazzesca.
Una volta che ci si trova qua o la, si ha a che fare con persone, il più delle volte accumunate dalla nostra condizione di viaggiatore o di expat, si ha a che fare con culture spesso più accoglienti dei nostri concittadini italiani, penso che gli indirizzi cambino sulla mappa ma nel profondo noi siamo sempre gli stessi. Viaggiare da soli vi aiuterà a capire i vostri confini personali, ad essere più forti e indipendenti, perché alla fine ciò di cui abbiamo davvero bisogno, è proprio dentro di noi.
Sappiamo anche che è nato da pochissimo il vostro primo bambino e
vi vogliamo fare i nostri migliori Auguri. ❤️️
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